Il musicista nacque a Matera nel 1708 da Francesco Duni e Agata Vacca. Per quarant'anni il padre fu maestro della Cappella musicale della Bruna, istituita per volontà del vescovo Antonio del Roys.
Molti dei suoi fratelli (8 maschi e 2 femmine) fu avviata alla carriera ecclesiastica e gli studi di diritto, ma a quasi tutti il padre insegnò anche la  musica.
Il più famoso tra  i fratelli Duni fu anche  Emanuele: filosofo, docente universitario alla “Sapienza” a Roma di diritto canonico e civile e autore dell'opera “Sulla giurisprudenza universale”.
Invece, Egidio Romualdo Duni fu avviato a nove anni allo studio della musica, presso il Conservatorio di Santa Maria di Loreto, nella città di Napoli.
Fu allievo di grandi maestri, quali Francesco Durante ed ebbe compagni di studio che poi sarebbero diventati personaggi importanti, come Pergolesi, Paisiello e Piccinni.
Dopo aver studiato presso il Conservatorio della Pietà dei Turchini e quello dei Poveri di Gesù Cristo, conseguì il diploma di maestro di Cappella di Napoli.
A 24 anni compose la sua prima opera: ”Artaserse”, a cui seguirono “Nerone” del 1735, “Adriano in Siria” del 1736, “Demofoonte” del 1737, “Catone in Utica” del 1740, numerose delle quali su testi di Pietro Metastasio.
In qualità di maestro di Cappella e di compositore, viaggiò in molte città della Penisola Roma, Milano, Londra, Leida, Vienna, Firenze e Bari, dove si trattenne fino al 1749, per poi trasferirsi a Parma, presso la corte di Filippo di Borbone, dove ebbe modo di apprezzare l'opera comica francese e di stringere amicizia con Carlo Goldoni, che “tanto avrebbe influito sull'artista e sull'uomo”.
Nel 1757 giunse a Parigi, ma era già ben inserito nell'ambiente intellettuale francese, avendo conosciuto gli Enciclopedisti Diderot e Rousseau, con quest'ultimo entrò in polemica sulla musicalità della lingua francese .
Nel 1758 Egidio Romualdo Duni sposò una donna francese, Elisabetta Caterina di Superville, da cui ebbe un figlio, Jean.
Visse e lavorò a Parigi per circa venti anni, fino alla morte che avvenne nel 1775.
Quando poteva tornava a Matera, ma fu a tutti gli effetti cittadino francese, avendo musicato numerosissime opere in quella lingua, quasi tutte d’intreccio “villereccio”, che piacquero tanto al pubblico parigino.
Secondo il conte Gattini (che riprendeva un giudizio del Grossi), della sua musica era apprezzato il fatto che “in cambio dei tamburi, delle grancasse e della musica rumorosa, tormento eterno degli orecchi, seguiva la naturalezza degli antichi musici greci”.